COS'È IL D.LGS. 231/01

Il decreto legislativo 18 giugno 2001, n. 231 (“Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”) ha introdotto nel nostro ordinamento un regime di responsabilità amministrativa a carico degli Enti per alcuni reati commessi, nell’interesse o vantaggio degli stessi, da persone fisiche che rivestano funzioni di rappresentanza, amministrazione e direzione, da una sua unità organizzativa autonoma, da chi esercita di fatto poteri di gestione e controllo e da persone soggette a direzione e vigilanza.

Esso ha rappresentato una grossa svolta nell’ordinamento italiano perché ha portato al superamento del principio secondo il quale “societas delinquere non potest” (le organizzazioni non possono commettere reati), principio peraltro chiaramente sancito dell’articolo 27 della Costituzione secondo cui “la responsabilità penale è personale” – tracciando a carico degli enti (persone giuridiche e associazioni) una responsabilità che il legislatore denomina “amministrativa”, ma che nella sostanza ha portata penale.

Ecco allora che, a fianco della responsabilità della persona fisica autore del reato, si aggiunge una responsabilità distinta che è quella dell’ente (che sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile) e che sarà oggetto di accertamento autonomo da parte del giudice penale.

Tale responsabilità estende i propri pesantissimi effetti sul patrimonio dell’Ente (e può portare anche alla revoca dell’autorizzazione necessaria per svolgere l’attività o al commissariamento giudiziale dell’ente) e, indirettamente, sugli interessi economici dei soci.

Quando c'è la responsabilità dell'ente

La responsabilità dell’ente sussiste, però, solo se sono soddisfatte le seguenti condizioni:

  1. È stato commesso un reato (tra quelli specificatamente previsti dal decreto stesso);
  2. Il reato è stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente;
  3. Il reato è stato commesso da:
  • Persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonchè da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
  • Da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui al punto precedente).

 

L’ente, invece, non risponde se le persone fisiche che hanno commesso il reato lo hanno fatto nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.

Esimente

Con il decreto 231 il legislatore ha però previsto la possibilità per l’Ente di andare esente dalla predetta responsabilità nella sola ipotesi esimente in cui:

  1. L’organo dirigente abbia adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei (a volte anche indicato come “Modello 231”) a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
  2. Il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento sia stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
  3. Le persone che hanno commesso il reato lo abbiano fatto eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
  4. Non vi è stato omesso o insufficiente controllo da parte dell’organismo di vigilanza.

 

Va comunque osservato che l’adozione di un modello organizzativo a norma del decreto 231 non rappresenta un obbligo per l’ente ma una facoltà, e, quindi, una tutela per lo stesso nell’ipotesi in dovesse essere commesso uno dei reati presupposto.

Inoltre, sicuramente, l’adozione del Modello 231 ed il suo continuo aggiornamento ed efficace applicazione evita possibili azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori che, se non vi provvedessero, esporrebbero l’ente al rischio di gravi conseguenze patrimoniali.

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    A CHI SI APPLICA IL D. LGS 231/01

    Le disposizioni previste dal d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica (art. 1, comma 2); rimangono esclusi lo Stato, gli enti pubblici territoriali (Regioni, Province e Comuni), enti pubblici non economici e gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale, come, ad esempio, i partiti politici e i sindacati (art. 1, comma 3).

    Destinatari sono dunque una ampia categoria di soggetti: le persone giuridiche private riconosciute, comprese le fondazioni, le società per azioni (non però quelle in formazione), le società in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, anche con un unico socio, le società per azioni con partecipazione dello Stato o di enti pubblici, le società estere con sede secondaria nel territorio dello Stato, le società cooperative, le mutue assicuratrici; ed ancora le società semplici, le società in nome collettivo, le società in accomandita semplice, le società di intermediazione mobiliare (SIM), le imprese di investimento di capitale variabile (SICAV), le società di gestione di fondi comuni di investimento, le società sportive; infine le associazioni non riconosciute, le quali ricomprendono una serie di soggetti privi di personalità che svolgono istituzionalmente un’attività non determinata da fini di profitto.

    Ancora rientrano nelle disposizioni in esame: i comitati, le società di fatto e le società irregolari, i consorzi con attività esterna (anche non costituiti in forma societaria), gli enti pubblici economici (ossia gli enti a soggettività pubblica ma privi di pubblici poteri, i quali hanno come oggetto principale o esclusivo l’esercizio di un’attività economica ed agiscono secondo le norme di diritto privato, come, ad esempio, gli istituti di credito di diritto pubblico).

    Per anni è stato controverso se dovessero rientrare le imprese individuali, data una mancanza di esplicita menzione nella norma. Sembra tuttavia prevalente l’interpretazione che vede applicabile la normativa anche alle imprese individuali visto che le stesse possono essere assimilate alle persone giuridiche nelle quali viene a confondersi la persona dell’imprenditore quale soggetto fisico che esercita una determinata attività.

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      SANZIONI DA D. Lgs. 231/01

      Il D.Lgs. 231/2001 prevede le seguenti tipologie di sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato:

      • Sanzioni pecuniarie;
      • Sanzioni interdittive;
      • Pubblicazione della sentenza di condanna;
      • Confisca del prezzo o del profitto del reato.
      •  

      Sanzioni pecuniarie

      Le sanzioni pecuniarie si applicano sempre e sono stabilite attraverso il meccanismo delle quote che si articola in due fasi:

      • In una prima fase il giudice stabilisce l’ammontare del numero delle quote, facendo riferimento a quanto prevede il D.Lgs. 231/01 per lo specifico reato, che non può mai essere inferiore a cento né superiore a mille. Nella determinazione il giudice tiene conto: della gravità del fatto, del grado di responsabilità dell’ente (adozione di modelli organizzativi, codici etici, sistemi disciplinari), di condotte riparatorie e riorganizzative (sanzioni disciplinari) dopo la commissione del reato;
      • In una seconda fase il giudice determina, sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali della persona giuridica, il valore monetario della singola quota, che va da un minimo di 258 euro ad un massimo di 1.549 euro.

       

      L’ammontare finale è dato dalla moltiplicazione tra l’importo della singola quota e il numero complessivo di quote che quantificano l’illecito amministrativo; la sanzione pecuniaria potrà quindi avere un importo che va da un minimo di 25.800 euro ad un massimo di 1.549.000 euro, a seconda delle condizioni dell’ente.

      In presenza di determinate condizioni la sanzione pecuniaria può essere ridotta.
      Le sanzioni interdittive si applicano esclusivamente in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste e se ricorre almeno una delle seguenti condizioni:

      • L’ente ha tratto dal reato un profitto di un certo rilievo e il reato è stato commesso da un soggetto in posizione apicale o da un soggetto sottoposto alla direzione dei primi, a causa di gravi carenze organizzative;
      • In caso di reiterazione degli illeciti.

      Sanzioni interdittive

      Le sanzioni interdittive hanno una durata limitata (non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni) e sono costituite da:

      • Interdizione dall’esercizio dell’attività, (implica la chiusura dell’intera azienda o di un suo ramo);
      • Sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze, concessioni funzionali all’esercizio dell’attività;
      • Divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, comporta il blocco delle entrate dell’ente, con l’esclusione dei contratti necessari per ottenere le prestazioni di un servizio pubblico necessario al normale svolgimento dell’impresa;
      • Esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi e la revoca di quelli già ottenuti o il divieto di pubblicizzare beni o servizi, comportano quasi una totale assenza di occasioni di profitto per l’ente;
      • Divieto di pubblicizzare beni o servizi.
       

      Pubblicazione della sentenza di condanna

      La pubblicazione della sentenza di condanna può essere ordinata solo qualora sia applicata all’ente una sanzione interdittiva, ha un carattere accessorio in quanto la sua applicazione può avvenire solo contestualmente ad una sanzione amministrativa ed è discrezionale, in quanto è il giudice a stabilire quando applicarla. La pubblicazione della sentenza di condanna opera nei casi più gravi come pubblicità denigratoria nei confronti dell’ente. La sentenza è pubblicata una sola volta, per estratto o per intero:

      • In uno o più giornali indicati dal giudice in sentenza,
      • Mediante affissione nell’albo del comune ove l’ente ha sede principale.

       

      La confisca del prezzo o del profitto del reato, viene sempre disposta nel caso di sentenza di condanna, salvo per la parte che può essere restituita al danneggiato. Qualora non fosse possibile confiscare il prezzo o il prodotto, la confisca può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore pari al prezzo o al profitto del reato.

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        REATI 231

        Non ogni reato previsto dall’ordinamento italiano comporta la responsabilità degli enti, ma solo quelli previsti espressamente dal D. Lgs. 231/2001, denominati

        Originariamente i reati previsti dal Decreto si limitavano a poche fattispecie. La normativa era stata infatti inizialmente prevista per le imprese che si rapportavano con la pubblica amministrazione e quindi prevalentemente per colpire i reati di corruzione, concussione, truffa ai danni dello stato.

        Successivamente a seguito di diversi interventi legislativi, il campo dei reati è stato esteso notevolmente, allargando di conseguenza anche la platea dei soggetti interessati.

        Elenco reati

        • Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato, di un ente pubblico o dell’Unione europea o per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico e frode nelle pubbliche forniture (Art. 24, D.Lgs. n. 231/2001) [articolo modificato dalla L. 161/2017, dal D.Lgs. n. 75/2020 e dalla L. n. 137/2023]
        • Delitti informatici e trattamento illecito di dati (Art. 24-bis, D.Lgs. 231/2001) [articolo aggiunto dalla L. 48/2008; modificato dal D.Lgs. n. 7 e 8/2016 e dal D.L. n. 105/2019]
        • Delitti di criminalità organizzata (Art. 24-ter, D.Lgs. 231/2001) [articolo aggiunto dalla L. 94/2009 e modificato dalla L. 69/2015]
        • Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e abuso d’ufficio (Art. 25, D.Lgs. n. 231/2001) [modificato dalla L. n. 190/2012, dalla L. 3/2019 e dal D.Lgs. n. 75/2020]
        • Falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento (Art. 25-bis, D.Lgs. 231/2001) [articolo aggiunto dal D.L. 350/2001, convertito con modificazioni dalla L. 409/2001; modificato dalla L. 99/2009; modificato dal D.Lgs. 125/2016]
        • Delitti contro l’industria e il commercio (Art. 25-bis.1, D.Lgs. 231/2001) [articolo aggiunto dalla L. 99/2009]
        • Reati societari Art. 25-ter, D.Lgs. 231/2001) [articolo aggiunto dal D.Lgs. n. 61/2002, modificato dalla L. 190/2012, dalla L. 69/2015, dal D.Lgs. n.38/2017 e dal D.Lgs. n. 19/2023]
        • Reati con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico previsti dal Codice penale e dalle leggi speciali (Art. 25-quater, D.Lgs. 231/2001) [articolo aggiunto dalla L. 7/2003]
        • Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili di cui all’Art. 583-bis c.p. (Art. 25-quater.1, D.Lgs. 231/2001) [articolo aggiunto dalla L. 7/2006]
        • Delitti contro la personalità individuale (Art. 25-quinquies, D.Lgs. 231/2001) [articolo aggiunto dalla L. 228/2003; modificato dalla L. n. 199/2016]
        • Reati di abuso di mercato (Art. 25-sexies, D.Lgs. 231/2001) [articolo aggiunto dalla L. 62/2005]
        • Altre fattispecie in materia di abusi di mercato (Art. 187-quinquies TUF) [articolo modificato dal D.Lgs. n. 107/2018]
        • Reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro (Art. 25-septies, D.Lgs. 231/2001) [articolo aggiunto dalla L. 123/2007; modificato L. n. 3/2018]
        • Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonché autoriciclaggio (Art. 25-octies, D.Lgs. 231/2001) [articolo aggiunto dal D. Lgs. 231/2007; modificato dalla L. 186/2014 e dal D.Lgs. n. 195/2021]
        • Delitti in materia di strumenti di pagamento diversi dai contanti (Art. 25-octies.1, D.Lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dal D.Lgs. 184/2021 e modificata dalla L. n. 137/2023]
        • Delitti in materia di violazione del diritto d’autore (Art. 25-novies, D.Lgs. 231/2001) [articolo aggiunto dalla L. 99/2009; modificato dalla L. n. 93/2023]
        • Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria (Art. 25-decies, D.Lgs. 231/2001) [articolo aggiunto dalla L. 116/2009]
        • Reati ambientali (Art. 25-undecies, D.Lgs. 231/2001) [articolo aggiunto dal D.Lgs. 121/2011, modificato dalla L. 68/2015, modificato dal D.Lgs. n. 21/2018 e modificato dalla L. n. 137/2023]
        • Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (Art. 25-duodecies, D.Lgs. 231/2001) [articolo aggiunto dal D.Lgs. 109/2012, modificato dalla Legge 17 ottobre 2017 n. 161 e dal D.L. n. 20/2023]
        • Razzismo e xenofobia (Art. 25-terdecies, D.Lgs. 231/2001) [articolo aggiunto dalla Legge 20 novembre 2017 n. 167, modificato dal D.Lgs. n. 21/2018]
        • Frode in competizioni sportive, esercizio abusivo di gioco o di scommessa e giochi d’azzardo esercitati a mezzo di apparecchi vietati (Art. 25-quaterdecies, D.Lgs. 231/2001) [articolo aggiunto dalla L. n. 39/2019]
        • Reati Tributari (Art. 25-quinquesdecies, D.Lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla L. n. 157/2019 e dal D.Lgs. n. 75/2020]
        • Contrabbando (Art. 25-sexiesdecies, D.Lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dal D.Lgs. n. 75/2020]
        • Delitti contro il patrimonio culturale (Art. 25-septiesdecies, D.Lgs. n. 231/2001) [Articolo aggiunto dalla L. n. 22/2022]
        • Riciclaggio di beni culturali e devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici (Art. 25-duodevicies, D.Lgs. n. 231/2001) [Articolo aggiunto dalla L. n. 22/2022]
        • Responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato (Art. 12, L. n. 9/2013) [Costituiscono presupposto per gli enti che operano nell’ambito della filiera degli oli vergini di oliva]
        • Reati transnazionali (L. 146/2006) [Costituiscono presupposto per la responsabilità amministrativa degli enti i seguenti reati se commessi in modalità transnazionale]
         Va evidenziato che il D.Lgs. 231/2001, non è statico, ma si tratta di una norma in continuo ampliamento: il legislatore infatti può attrarre nel perimetro del D. Lgs. 231/2001 nuove fattispecie di reato.
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          CONDIZIONI ESIMENTI DA RESPONSABILITÀ AI SENSI DEL D.LGS.231/01

          Il D.Lgs. 231/2001 stabilisce i termini entro i quali si configura per la responsabilità dell’Ente, che possono essere, in sintesi, descritti come segue:

          • È stato commesso un reato tra quelli indicati dal decreto stesso;
          • Il reato è stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente;
          • Il reato è stato commesso da:
            1. Figure cosiddette “apicali” (cioè figure che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonchè da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
            2. Persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di una delle figure apicali di cui sopra.

           

          D’altra parte, l’Ente non risponde se le persone come sopra elencate hanno commesso il reato nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.

          Come tutelarsi: condizioni per l’esimente da responsabilità

          La peculiarità del D.Lgs. 231/01 è data dal fatto che definisce le condizioni che, se rispettate, costituiscono l’esimente da responsabilità per l’ente.
          Più in dettaglio, se il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale, l’ente non risponde se prova quanto segue:

          a) L’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

          b) Il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;

          c) Le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;

          d) Non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b).

          È importante ricordare che l’adozione del modello e la nomina dell’Organismo di vigilanza non rappresentano azioni obbligatorie ai sensi del D.Lgs. 231/2001, bensì corrispondono ad una scelta che deve operare l’organo amministrativo dell’ente volendo beneficiare dell’esonero da responsabilità, non dimenticando che a tal fine devono essere verificate anche le altre condizioni di cui sopra (lettere c) e d)).

          Le medesime considerazioni trovano applicazione anche nel caso in cui il reato sia stato commesso da soggetti sottoposti alla direzione o vigilanza dei soggetti apicali. In questo caso l’ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione e controllo, ma tale inosservanza è, in ogni caso, esclusa se l’ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quelli verificatosi.

          È evidente, quindi, che, per quanto l’attuazione delle azioni che costituiscono l’esimente da responsabilità non sia obbligatoria (e quindi la loro assenza non espone l’Ente al rischio di sanzione), in ogni caso ciò consente all’Ente di beneficiare di una tutela con effetti rilevanti se si considera l’entità delle sanzioni previste ed anche il fatto che tra i reati presupposto non vi sono solo reati dolosi, bensì anche reati colposi quali quelli in materia di sicurezza sul lavoro e ambiente. La scelta di provvedere, o meno, a dotare l’Ente di un Modello organizzativo e di nominare l’Organismo di vigilanza spetta all’organo amministrativo dell’Ente che si assume, così, la responsabilità di un’importante decisione gestionale, anche rispetto alle altre parti interessate (ad esempio i soci).

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            IL MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO AI SENSI DEL D.LGS.231/01

            Il modello di organizzazione, gestione e controllo (spesso indicato con l’acronimo MOG) costituisce, ai sensi del D.Lgs. 231/2001, uno degli elementi necessari ad esimere l’ente da responsabilità nel caso in cui venisse commesso uno dei reati indicati dal decreto stesso. In altre parole, il D.Lgs. 231/2001 non stabilisce l’obbligo per l’Ente di dotarsi di un MOG, bensì prevede che vi debba provvedere qualora intenda beneficiare delle condizioni esimenti da responsabilità.

            Non sono presenti nel D.Lgs. 231/2001 indicazioni precise e puntuali su come debba essere strutturato il modello organizzativo, e su quali debbano essere i contenuti, per quanto sia ribadito che deve essere:

            • Adottato ed efficacemente attuato: non è sufficiente predisporre il modello, bensì è indispensabile che il modello sia attuato in modo efficace. Il MOG dovrà, quindi, essere applicato in tutte le sue parti;
            • Idoneo a prevenire reati della specie di quelli verificatisi: un MOG aderente e coerente con le specificità dell’Ente è elemento imprescindibile per la prevenzione dei reati. Inoltre, è indispensabile garantire che il modello rimanga aggiornato nel tempo sia rispetto a cambiamenti che possono riguardare l’ente (modifiche nella struttura organizzativa, nella definizione di ruoli e responsabilità, ecc.) sia rispetto a cambiamenti che possono riguardare la normativa di riferimento (introduzione di nuovi reati presupposto, ecc.).

             

            Il MOG non potrà quindi ridursi ad un documento (o a un insieme di documenti) che contiene dei principi di comportamento che rimangono solo “sulla carta” e quindi sostanzialmente inapplicati, perché una situazione di questo tipo non potrà tutelare in alcun modo l’Ente nel caso in cui sia commesso uno dei reati presupposto.

            Negli anni sono state emesse linee guida da associazioni rappresentative di alcuni settori (quali ad esempio Confindustria) che forniscono indicazioni più operative per lo sviluppo del MOG, e, d’altra parte, altre indicazioni utili provengono anche dalla giurisprudenza che è stata via via emessa.

            Dal nostro punto di vista è fondamentale che il modello sia calato nella specifica realtà dell’ente e che tenga conto delle caratteristiche e peculiarità dello stesso, e questo riteniamo rappresenti uno dei nostri punti di forza nel fornire il supporto consulenziale all’Ente.

            Contenuti del MOG

            A livello normativo troviamo un unico ambito in cui sono fornite indicazioni piuttosto precise sui contenuti del modello organizzativo, ed è quello connesso alla salute e sicurezza sul lavoro, rispetto al quale l’art.30 del D.Lgs. 81/2008 contiene un richiamo esplicito ai modelli organizzativi di cui al D.Lgs. 231/2001 e indicazioni puntuali degli elementi di cui il MOG deve tenere conto.

            Sulla base dei suggerimenti contenuti nelle linee guida emesse dalle varie associazioni di categoria, si è consolidata la prassi di strutturare il MOG in una “parte generale” (che include, tra l’altro, la descrizione dell’Ente e delle sue attività), ed in una serie di “parti speciali” (che contengono le misure da attuare in relazione a specifiche aree di reato).

            In generale, il contenuto del modello organizzativo include i seguenti elementi:

            • Individuazione delle aree aziendali “sensibili” in relazione al rischio di commissione dei reati presupposto (spesso si parla di “mappatura” dei reati);
            • Protocolli da rispettare ai fini della prevenzione dei reati medesimi;
              il sistema disciplinare, espressamente richiesto dal D.Lgs.231/01 e volto a sanzionare il mancato rispetto di quanto stabilito dal modello;
            • Il Codice etico, documento che contiene i principi generali di comportamento che tutte le figure, interne ed esterne, che lavorano per l’ente o vi collaborano devono rispettare.

             

            Il modello, inoltre, deve tenere conto di quanto stabilito in materia di whistleblowing dalla Legge 179/2017, che tutela chi effettua segnalazioni riguardanti reati o irregolarità rispetto al Modello Organizzativo ed al D.Lgs.231/01.

            È da prevedere, infine, la formazione di tutte le figure destinatarie del Modello organizzativo sui contenuti dello stesso, al fine di garantire la necessaria consapevolezza sull’importanza di applicare costantemente quanto in esso stabilito.

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              ORGANISMO DI VIGILANZA: RUOLO E CARATTERISTICHE AI SENSI DEL D.LGS. 231/01

              L’Organismo di Vigilanza rappresenta uno degli elementi imprescindibili ai fini dell’esimente da responsabilità da reato per l’ente, ai sensi del D.Lgs.231/01.

              Come indicato nel Decreto stesso, infatti, non è sufficiente predisporre (ed attuare) un Modello di organizzazione, gestione e controllo efficace a prevenire i reati, bensì è necessario che sia nominato un Organismo di Vigilanza (spesso indicato con l’acronimo ODV), che ha il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza del modello, nonché deve curare l’aggiornamento del modello stesso.

              Il Decreto prevede che l’Organismo di Vigilanza debba essere dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, ma nulla specifica in merito ad altri aspetti quali, ad esempio, la composizione dell’organismo.

              Composizione dell’ODV

              L’Organismo di Vigilanza è nominato dall’organo amministrativo dell’Ente, che effettuerà la scelta dei componenti tenendo conto dei seguenti aspetti:

              • Autonomia e indipendenza: l’ODV deve poter svolgere le attività inerenti il suo incarico senza che vi siano interferenze da parte dell’ente, e, d’altra parte, è importante che i componenti dell’ODV non si trovino in situazioni di conflitto di interessi rispetto a ruoli ed incarichi nell’Ente (in particolare per quanto riguarda processi decisionali);
              • Competenza: per quanto la normativa non definisca in modo esplicito requisiti in termini di competenza per i membri dell’organismo di vigilanza, si può ben intuire (e la giurisprudenza lo ribadisce) che, ai fini di un’efficace attività di vigilanza, è importante il possesso di competenze nell’ambito di attività ispettive, oltre che sulla normativa di riferimento; ecco che allora, al momento della scelta della composizione dell’organismo di vigilanza, potrebbe essere opportuno considerare anche l’esito della mappatura dei reati e, quindi, le aree risultate potenzialmente più significative (ad esempio salute e sicurezza sul lavoro, rapporti con la pubblica amministrazione, eccetera), in modo da orientare la scelta verso figure in possesso di competenze in tali aree.

              Come opera l’ODV

              In aggiunta a quanto sopra, non va dimenticato che il D.Lgs.231/01 indica in modo esplicito che, ai fini dell’esimente, non deve esservi stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’ODV. Ciò lascia intendere che l’Organismo di vigilanza dovrà operare con continuità d’azione, per garantire una vigilanza effettiva, e non meramente formale. E un contributo alla continuità d’azione viene anche dal fatto che il D.Lgs.231/01 stabilisce che il Modello di organizzazione, gestione e controllo deve prevedere obblighi di informazione verso l’ODV.

              Molto si dibatte e si è dibattuto su aspetti quali il numero di componenti dell’Organismo di vigilanza, nonché sul fatto che debbano o possano essere figure esclusivamente interne all’Ente, in parte interne ed in parte esterne o esclusivamente esterne. Va precisato che il Decreto legislativo 231/2001 nulla stabilisce in tal senso, lasciando all’organo amministrativo dell’Ente libertà di effettuare le scelte ritenute più opportune. Le uniche indicazioni che troviamo nel Decreto attengono gli Enti di piccole dimensioni, in cui i compiti dell’organismo di vigilanza possono essere svolti direttamente dall’organo dirigente, nonché le società di capitali, in cui il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni dell’ODV.

              La nomina dell’Organismo di vigilanza è, pertanto, uno dei passaggi obbligatori, congiuntamente agli altri elementi previsti dal D.Lgs.231/01, per esimere l’Ente da responsabilità, ed è un atto sotto la responsabilità dell’organo amministrativo dell’Ente, che provvederà alla definizione e formalizzazione dell’incarico.

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                WHISTLEBLOWING

                La Legge 30 novembre 2017, n. 179, recante «Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato» («Legge sul Whistleblowing») ha introdotto un sistema «binario», prevedendo una tutela sia per i lavoratori appartenenti al settore pubblico (modificando a tal fine il Testo Unico sul Pubblico Impiego) sia per i lavoratori appartenenti al settore privato, (modificando l’art. 6 del D.Lgs. 231/01).

                La ratio sottesa all’adozione della normativa in esame è quella di individuare strumenti di tutela nei confronti dei lavoratori che denuncino reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito delle proprie attività lavorative.
                La Legge sul Whistleblowing richiede che:

                • L’ente adotti uno o più canali comunicativi mediante i quali sia consentito ai soggetti segnalanti di «presentare, a tutela dell’integrità dell’ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite» rilevanti ai sensi del Decreto 231. Tali segnalazioni dovranno, in ogni caso, essere fondate «su elementi di fatto precisi e concordanti»: i canali non possono essere utilizzati con finalità diverse dalla tutela dell’integrità dell’ente. I canali comunicativi dovranno garantire la riservatezza dell’identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione;
                • Venga individuato un canale alternativo di segnalazione con modalità̀ informatiche tale, anch’esso, da garantire la riservatezza del segnalante.

                 

                E’ previsto inoltre il divieto di atti di ritorsione o discriminatori nei confronti del segnalante per motivi collegati direttamente o indirettamente, alla segnalazione. A tal proposito, particolare rilevanza è assunta dal novellato art. 6, comma 2- quater, del Decreto 231, ai sensi del quale «il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto segnalante è nullo», così come il mutamento di mansioni nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria». In questo caso vi è l’inversione dell’onere della prova in capo al datore di lavoro che sarà tenuto a dimostrare che il provvedimento disciplinare adottato nei confronti del soggetto che ha fatto la segnalazione, ha delle motivazioni avulse rispetto alla segnalazione stessa.

                A tal fine devono essere previste, all’interno del sistema disciplinare, le sanzioni nei confronti di chi viola suddetto divieto, nonché di chi «effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate».
                Il segnalante o l’organizzazione sindacale da lui indicata può denunciare l’adozione di misure discriminatorie nei confronti del segnalante stesso all’Ispettorato nazionale del lavoro, per i provvedimenti di propria competenza.

                Destinatario delle segnalazioni

                Nonostante non specificatamente indicato dalla normativa, si ritiene che destinatario delle segnalazioni debba essere l’Organismo di Vigilanza, organo fra l’altro già demandato a ricevere i flussi informativi relativi alle risultanze periodiche dell’attività di controllo sull’efficace attuazione del Modello 231.

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